mercoledì 25 aprile 2007

Rifugio Biella- Lago di Braies

5 Agosto 2005

Rifugio Biella 2327 m.)
Lago di Braies

Arriviamo al Lago di Braies salendo dalla Val Punteria, dalla Valle Anterselva.
Il lago di Braies è fenomenale. Molto turistico, è vero. Ma l’acqua e la montagna fanno paura. Il verde del “lago sembra una gemma incastonata tra le montagne” qualcuno aveva detto. Descrizione perfetta. Non vedevo l’ora di vederlo dalla cime di Baita Segantini. Nella foga del momento in raptus da pre-scarpinata compro una cartina, anche se eravamo già informati sulla durata del percorso e sulla via. Eravamo io, Ila e Fra, 2 guest di cui in realtà non conoscevamo le capacità. Ci dovevamo fidare. Partimmo immediatamente e per fare solo il giro del lago ci impiegammo un’ora. La cosa non mi esaltò particolarmente mentre gli altri invece sciamannavano per il paesaggio. Iniziai ad inacidirmi al mio solito. Nessuno di noi capiva il quadro d’insieme e il fine del viaggio. Ma tragedia…! non trovavo più il portafoglio. La situazione era gravissima perché eravamo nel mezzo di una vacanza che doveva durare altri 20 giorni. Così si corse al parcheggio. Avevo lasciato il portafoglio sul sedile posteriore. Delusi per l’inutile tempo perso, andammo al pub a mangiare. Iniziamo a bere. Ormai eravano le 14, quando Ema ebbe l’idea. Vista l’esperienza di Segantini il sole andava giù tardi. Inoltre avevamo le torce e la tenda. Proposi di andare su lo stesso. Correndo, per le 19 arrivammo su- dissi. Remore. Ma Ema è un motivatore. Finita la seconda media, con un bel litro di birra nello stomaco giungemmo all’Alta Via delle Dolomiti con sole perpendicolare a picco sui crani. Con una produttività triplicata, dopati dall’alcool in vena a stomaco vuoto, sfidando i “troppo distante”, “è troppo tardi” e “bisognava partire la mattina presto” con il sole delle 14 in pieno agosto, col luppolo sudato dalla pelle brasata dal sole ci arrampichiamo come pesanti ragni sul ghiaione. Completamente esposti al sole, senza una grande attrezzatura, 3 litri di acqua frizzante in 5, giusto i sacchi a pelo e lo zaino, maglione alla mano, iniziai a tarellare.
Mi distaccai dal gruppo e sentii di aver perso gli altri. Io e la montagna iniziammo ad entrare in confidenza. Fu qui che iniziai a cancellare lentamente il mio senso di vertigini e ad aumentare la confidenza con la montagna. Con la sicurezza si vince il senso irrazionale del sentimento umano. Così dicono. Cartina alla mano lasciai la ferrata inagibile sulla sinistra e continuai dritto. Ero solo e vedevo la montagna cattiva davanti. Il lago lontano. Pensavo che i fulmini non potevano esserci, che avevo abbastanza forze per spaccare tutto. Mi misi coraggio e feci dei percorsi esposti con una certa tranquillità. Proseguii per il percorso 4. La strada si fece piccina e si addentrava per costoni che non avrei mai fatto prima ma ebbi la certezza che se i piedi andavano nei punti X e Y non potevano che dare un risultato di stabilità Z o di movimento Omega. Quindi da qui iniziai a essere più sicuro delle cose che facevo. La paura era solo nella mia testa e le leggi fisiche dicevano altro ancora. Stare in metropolitana all’interno della linea gialla o stare a 4000 metri a strapiombo, l’importante è non superare la linea gialla. Il vuoto non ti viene a prendere se non ti ci butti. A meno che non sia fatalità. Accettare la fatalità in metropolitana è difficile. In montagna è più facile. Ma la fatalità è un insieme di cause concomitanti. Ma a questo punto tra stare a casa, essere su un aereo o arrampicarsi su una parete la cosa è uguale.
Quindi, battuta la paura nulla mi fermò. Aspettai gli altri al bivio 3- 28. Proseguimmo per il 3 e rivissi la sensazione della terra che frana. Feci il percorso con gli altri. Gli escursionisti che scendevano ci assicuravano mancasse un’oretta. Ce lo dicevano dal bivio. Continuammo a dircelo per 2 ore. Fu lunghissimo e il non sapere ancora una volta quanto mancasse era mentalmente debellante. Ancora una volta il motivatore Fra fece di tutto per tirarmi in mezzo e in mezz’ora arrivammo in cima. Attraversato tutto l’Ofenmauer muro arrivammo in cima alla Sora Forno Ofenscharte. Ci sedemmo a goderci il panorama. Era molto islandese come panorama. Totalmente ricoperto di sassi grigi ed erba per un paesaggio di sola roccia che si distendeva a perdita d’occhio. Da qui non si vedeva il lago, cosa che non ci aspettavamo.
In cima riprendemmo tutto e fissammo il momento sulla mia mini-DV. La Grappa di miele contornò l’atto celebrativo della fratellanza in vetta.
Il rifugio Biella era in basso, sulla nostra sinistra. Scendemmo e dopo una birra andammo a mangiare.
Dormimmo al Rifugio Biella.
La notte fu priva di nuvole, il freddo non rise. Il 7 Luglio aveva nevicato e stava per giungere un’ondata gelida.
Il giorno dopo riprendemmo lo stesso percorso purtroppo.
Dovevamo tornare per impegni di tabella di marcia.

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