lunedì 23 aprile 2007

Baita Segantini (m. 2200)



MITI E LEGGENDE (Baita Segantini m. 2200)
Baita Segantini (m. 2200)Dolomiti Gruppo Pale.


1 Agosto 2005.


Purtroppo non ricordo bene il percorso e non posso nemmeno informare il lettore in maniera adeguata sull’itinerario percorso, sul dislivello e sui tempi di percorrenza. Questi tecnicismi sono elementi fondamentali che caratterizzano un maestro della montagna, che doverosamente aggiunge quel pizzico in più anelando, da vero cantafavole, una serie di miti impossibili e gesta eroiche inenarrabili che lo avvicinano più a un guru che a un uomo da osteria. Io sono un po’ una bestia su questo genere di dettagli, e mi avvicino senza ombra di dubbio più al tipo da bancone che al tipo da cattedra. Non prendo mai nota né in partenza né ad esperienza terminata. L’unica cosa che mi resta, resta nel cuore. E gli attimi diventano secoli e i giorni diventano ore. Così, a seconda dell’emozione.
Quindi vado con informazioni minime, salgo e torno. Tutto qui.
Però si’, vi parlo di storie di miti, leggende e draghi, quello sì.
Il percorso per Baita Segantini e il viaggio a ridosso delle Pale di S.Martino strappato a un furibondo e bruciante itinerario che abbracciava Trentino- Alto - Adige e Tirolo, fu il mio rito di passaggio. Importantissimi momenti di estrazione per la mia formazione ed educazione civica. Fu il primo essere consapevoli di fronte alla natura, al mio divenire un escursionista, un girovago, e tutto quello che ne seguì e che mi portò a sviluppare la prima embrionale idea di un
traguardo quantomeno ambizioso: il diventare un alpinista.
Gli ingredienti per la bomba erano belli che pronti. Sicuramente l’età. A 24 anni fatti e compiuti, dopo 6 anni con alle spalle tre interrail e 24 Paesi percorsi a piedi, in treno, in autobus, in bicicletta, mi facevano sentire in piena effervescenza. Mi sentivo (e mi sento ancora) come un pulviscolo di cenere danzante la calda vecchia Europa. La mia percezione del continente sembrava una tinta di acquarello. Tingevo nella mia mente una cartina con dei confini più o meno abbozzati. Mi sentivo in quel periodo come un cieco che completa un puzzle. Poi eccomi, ho riacquistato la vista, il disegno del puzzle mi è chiaro ma ancora non lo capisco. Come un dislessico che rilegge una frase più volte finché il senso non si fa chiaro. Ecco io ero a quel punto. Il mio mondo iniziava ad assumere la sua reale dimensione e delimitazione.
Per la ricetta magica poi era indispensabile il pensare di compiere una missione in uno spirito ancestrale. A cavallo tra quello che nella mia immaginazione legava l’affiliazione di una tribù del neolitico e l’Apollo 13. In un legame umano tra scoperta ed emozione. Ecco la grandezza dell’amicizia. Questa era la rappresentazione iconografica del pensare la montagna come un’esperienza di vita rappresentante la vita stessa. Momento di evasione e distacco, mitizzazione dell’uomo all’interno dello scenario reale e ideale in cui è stato concepito, realizzato e testato. Purtroppo poi vedete, l’uomo ha capito la bellezza del bere, dello scopare e del mangiare. Per questo si è piazzato nelle città dove si può fare tutto in uno, senza sbatti, tra ozi e vizi, tutto in gran quantità. Perdendo però qualcosa. Ed è allora che arriviamo noi.
Noi solitarie piccole bestie selvagge e maremmane, uniamo l’utile al dilettevole, vivendo sì in città delle quali siamo prodotti surrogati ma manteniamo uno spirito primordiale che ci porta nei posti isolati e in condizioni estreme per ricolmare la confezione maxi del “disagio da città e da vita modaiola”. Quelli come me, si sentono esterni a come girano i consumi di massa. Invece siamo solo i vostri fratellastri. A me non dà fastidio una definizione o un’altra, una parentela o l’altra. Siamo tutti prodotti (o umanizzando “figli”) di una mamma comune. Quindi l’ultimo ingrediente, volendo psicoanalizzarmi, fu, penso, il mio DNA. Chimicamente si è predisposti a questo richiamo per il selvaggio e il viaggio, così per caso, o per una logica che non conosciamo, o per una logica a cui vogliamo attribuire un significato (meglio se buonista e conveniente). Oppure peggio: a una logica per un significato che non vorremmo. Io sono per la versione scientifico/ teologica: Siamo qui (Grazie a Dio) per questi motivi (mannaggia a noi!). Ma sono un uomo di mondo con in cima ai pensieri la passione per la montagna e la natura. Per questo vi scritto in scioltezza i cazzi miei, perché so che lì fuori c’è qualche pistacchio come me che o è interessato o è curioso di condividere i stessi confini delle terre emerse che ora vanno sciogliendosi. Resteremo come gli ultimi tra i Moicani risucchiati dai deserti, dai kebab e dalle palme da dattero. Ma felici moriremmo sopra i 3000 metri o a latitudini di tutto riguardo. Altro che Torre di Babele…qui siamo in
una montagna di merda.
Partimmo dalle macchine nel primo pomeriggio. Sapevamo il percorso lungo, ma nonostante ciò sembrava disteso e non impossibile. Anzi a paragone di un Monte Emilius* (il nostro K2 all’epoca) sarebbe dovuta essere una scampagnata per vecchie. L’unica incognita era che senza una torcia ben presto, vedendo i nostri compagni, poco avvezzi alle scarpinate,
ci venne il dubbio che la notte ci cogliesse in cima.
Aumentammo il passo dopo il secondo maso, entrando in un bosco con un ampio sterrato. Continuando la vista si apre un ampio ghiaione. Rocce e sassi da tutte la parti e le Pale sovrastano la scena. La compagnia si divide. Noi tre partiamo alla carica per conquistare la nostra meta. Abbiamo un’ora davanti e schizziamo via. Il Fra è quello meglio carburato. Ila sta male a causa di un affanno che la tormenta da qualche tempo. Tuttavia con calma, sotto il sole di Agosto continuava il percorso, chiedendo di restare indietro. L’importante è che nessuno perde il ritmo. Io sono molto stanco perché non ho la minima idea di quanto mi manchi. Inoltre non riesco a camminare se sento il passo dietro di qualcuno che mi aspetta. Mi mette in ansia. E il Fra davanti non si vede più. Dopo un po’ guardo su e vedo il Fra in alto, mi sembra lontanissimo. Poi non lo vedo più. Lo stacco mi pare immenso. Il tempo inizia a peggiorare. Ho due paure in montagna. Le vertigini e i fulmini. Le vertigini confidandomi con la montagna mi stanno passando. La paura dei fulmini credo rimarrà per sempre. Fa un caldo maiale. Vedo solo erba e roccia. Inoltre vedo una enorme costruzione dall’altro lato del versante, in piena pendenza. Controluce. Penso sia lì e sembra lontanissimo. Altre 2 ore penso. Di un tratto vedo il Fra che mi dice di tagliare per quella strada. Mi dice che siamo arrivati. E qui il Fra diventa fondamentale.Sono stanco e demotivato. Ce la posso fare, ma psicologicamente in montagna non sono solo le proprie risorse fisiche.Penso che l’edificio che ho visto è lontanissimo. Ma il Fra mi motiva. Desisto, stanco. Poi mi fido e metto tutto nelle mani
del mio amico. Le gambe mi fanno un po’ più impegnate e raggiungono la cima.Nelle orecchie sento la voce del mio motivatore. Ila mi segue da dietro, fedele delle parole del Fra.Con sommo gaudio mi accorgo che siamo veramente arrivati. Quell’edificio che vedevo era in realtà un enorme masso
che in controluce mi facevano temere una meta impossibile.Anche il Fra mi conferma di aver fatto lo stesso errore di giudizio, perché ad Aosta sapeva che c’era un rifugio con la
stessa strana ubicazione.Sopra fa proprio freddo.
Ci fondiamo all’interno alla ricerca di una birra ghiacciata. Veniamo accontenti immediatamente. La beviamo all’aperto ammirando il laghetto e le Pale. Mangiamo un po’ di cioccolata. Festeggiamo insieme e sentiamo l’enorme feeling del team. Da allora sarà quello che cercherò sempre in cima. Quel feeling ce spinge a portarsi insieme in vetta. Dopo l’aperitivo andiamo giù di grappa. Un paio di bicchierini ben pestati e torniamo giù al tramonto. Scendiamo velocissimi con la grappa nelle vene che ci adrenalina le gambe. Giù troviamo gli altri che, intanto si fotografano in coreografie hollywoodiane di bassa lega , continuando a citarmi spezzoni di talkshow e attori e un film girato per quella valle e inviando MMS a compagni e amici vari. Un tranquillo week-end di paura, delirio e panico. Io intanto penso a che genere di spettacolo si sono persi e a che emozioni. Alla follia dell’uomo non c’è né limite né bisogno.

Ema, Jah, Fra – l’albero della grappa cinese e delle mille sboccate. Indicato da Janez, sullo sfondo, il Monte Emilius*.
*Monte Emilius = un bel balconcino di 3559 m. che domina la Valle D’Aosta.


Una delle spettacolari foto del primo giro nelle Dolomiti del tour Trentino Alto - Adige e Tirolo (2005).

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